Alitalia: una compagnia aerea che non spicca il volo

Quasi ogni anno ci ritroviamo a leggere che “Alitalia è in crisi”, cambiano le gestioni, cambiano le partnership (con l’entrata in gioco di un nuovo attore come Etihad) ma il risultato non cambia, e cosa più importante, non cambiano le decisioni proposte  per affrontare la situazione.

Di fronte alla crisi assistiamo più o meno ad un Dejavu: tagli al personale, riduzione degli stipendi dei dipendenti, scorporamento societario, ricapitalizzazione, aiuti di stato.

Ma da cosa nasce in realtà questa crisi?

Evitiamo di focalizzare la nostra attenzione su ipotesi frutto del “sentito dire” o sull’analisi fine a se stessa di numeri, in mancanza di una reale conoscenza adeguata della complessa situazione aziendale che li ha generati.

Sui giornali italiani, tra i quali il foglio, il fatto quotidiano, la repubblica, ilsole24ore, si è detto molto della crisi di Alitalia in questi ultimi mesi.

Sulle motivazioni:

“E’ solo un problema di costo quello che sta strangolando il vettore italiano? I costi di Alitalia sono stimati essere intorno ai 6,5 centesimi di euro per posto chilometro offerto, Ryanair ha dei costi di circa 3,5 centesimi, mentre Easyjet dichiara dei costi di 6 centesimi di euro.”

“Alitalia forse è l’esemplificazione migliore di come sia stata attuata la strategia sbagliata e di come l’ultimo piano industriale – ancora sotto revisione da parte dell’ennesimo consulente – rischi di portare la compagnia italiana dritta verso il fallimento”.

“Ma perché la situazione è così critica? La mancanza di accordo tra gli azionisti e una strategia non chiara del partner industriale Etihad rendono il futuro di Alitalia sempre più complicato.”

“Sempre lontani dal mercato ma vicini ad interessi di fornitori, manager, politica nazionale e territoriale (ad esempio Fiumicino), l’ammucchiata di questa ventina di azionisti ha fatto pagare agli italiani i propri errori, prima e dopo la privatizzazione, beneficiando di aiuti di Stato a pioggia senza che poi nessuno verificasse i risultati raggiunti.

Sulle soluzioni previste:

“Anche investendo sul lungo raggio nei prossimi anni, tali rotte saranno in perdita per via della mancanza di un feederaggio adeguato” Il load factor Alitalia sul lungo raggio è circa 10 punti percentuali in meno rispetto ad AirFrance-Klm e nel corto e medio raggio Alitalia è quasi 20 punti percentuali in meno di Ryanair e Easyjet

“Nel frattempo la società continua a perdere 2 milioni di euro al giorno. “Con un no al referendum gli investitori non investirebbero e si andrebbe in amministrazione controllata”, ha ricordato Calenda venerdì mattina, ribadendo che è un’evidenza” il fatto che la strategia dell’azienda in passato è stata  sbagliata (12.1.17)”

 “Per le banche non è realistica la previsione dell’utile nel 2019 ma senza una garanzia o coinvolgimento pubblico le banche – UniCredit e Intesa Sanpaolo le più esposte – non accettano di mettere altri soldi in una compagnia che presenta un piano industriale pieno di criticità e con fortissimi rischi, stimati in 1,3 miliardi di euro di ulteriore fabbisogno di cassa da qui al 2021.”

Sulla analisi delle strategie:

I piani di salvataggio.  Ora arriva Luigi Gubitosi alla presidenza esecutiva in attesa della partenza di Cramer Ball, autore delle 158 pagine di piano industriale 2017-2021 che dovrebbe rimettere in carreggiata la compagnia grazie a tagli monstre da un miliardo di euro, un incremento dei ricavi del 30% e il sostanziale abbandono della lotta sulle rotte nazionali regalate a Ryanair e EasyJet.”

Ultimo in ordine temporale il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, a Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24: “Il management operativo ha sbagliato moltissimo, anche con una certa dose di arroganza ma questo non vuol dire che ci sia la possibilità di tornare ad un management pubblico che non mi pare abbia fatto meglio nel corso degli anni”.

 

Dopo aver letto attentamente i commenti, ognuno ha una propria ricetta come i 56 milioni di allenatori di calcio che ci sono in Italia.

Cerchiamo di razionalizzare, procediamo con una metodologia strutturata (Lean Decision Quality) per analizzare in maniera asettica la situazione.

Innanzitutto, individuiamo il grado di  complessità aziendale con un grafico, collegando Complessità Organizzativa (in termini di struttura, azionisti, diversi business, diversi centri di potere, diversi partner e fornitori) e Complessità Analitica (molti prodotti, diverse variabili interconnesse, business globali). Il risultato è che Alitalia ha una complessità Organizzativa molto elevata.

La prima domanda da porsi è: cosa essere e cosa voler diventare? Ci stiamo chiedendo, qui, se è stato definito un obiettivo ben preciso per il posizionamento aziendale e per il piano di sviluppo industriale.

Sono stati identificati i veri decision maker dagli azionisti?

Definito l’obiettivo dai decision maker, questo è stato condiviso con gli azionisti?

Condiviso l’obiettivo sono state coinvolte le persone chiavi delle diverse divisioni aziendali (chiamato Project Team), per la realizzazione del piano strategico?

La condivisione degli obiettivi e la partecipazione di persone chiavi dei diversi dipartimenti è il vero punto di forza quando si definisce un piano strategico ed è la differenza che fa la differenza. In questo modo si ottiene, infatti, l’allineamento su un chiaro obiettivo aziendale e una più rapida ed efficace implementazione.

I decision maker hanno comunicato l’obiettivo al Project Team dicendo loro: trovatemi qual è la migliore  soluzione (non qual è la soluzione)?

Sono state esaminate attentamente le diverse opportunità (alternative) con i loro valori, in termini di profitto e rischio?

Le alternative sviluppate hanno informazioni affidabili a supporto (cosa conosco e cosa non conosco)?

Quali sono le ragioni logiche sulla base delle quali scelgo una alternativa piuttosto che un’altra, in termini di valori (profitti, lavoro) e rischi?

Infine, una volta scelta l’alternativa e presa la decisione da parte dei decision maker, in accordo con gli azionisti, sono state allocate le risorse finanziarie e umane necessarie per l’implementazione del piano?

Seguire un processo logico che coinvolga i diversi elementi dell’azienda non è una forma di democrazia buonista ma un sistema perché tutti conoscano l’obiettivo (risanamento aziendale, potenziamento, ecc…) e sappiano verso cosa e per cosa si sta lavorando. Quello che, negli anni, abbiamo visto in Alitalia è un esempio di cosa può verificarsi in una realtà aziendale quando non si rema tutti nella stessa direzione e quando manca la condivisione degli obiettivi:

  • Non c’è un chiaro obiettivo aziendale condiviso => gli azionisti remano gli uni contro gli altri (il cosiddetto Power & Politics)
  • Mancanza di alternative creative, avvincenti e significativamente differenti che non hanno portato allo sviluppo di un piano di differenziazione => vuol dire proporsi in maniera nuova, innovativa, sia in termini di offerta, di customer care, di servizi ad alto valore aggiunto che fanno pendere l’ago della bilancia dalla parte di Alitalia. Significa ripensare al modo di viaggiare.

Inoltre, in molte delle citazioni dei giornalisti e non solo, si è detto che la strategia Alitalia è stata sbagliata ed è per questo che è in crisi.

La Strategia altro non è che il percorso attraverso il quale una organizzazione, con i propri valori, disegna di raggiungere il proprio scopo ed i propri obiettivi. Se non c’è chiarezza e condivisione nella definizione degli obiettivi qualunque strategia avrà scarsa efficacia.

Il fallimento di una decisione strategica può essere dovuta a molteplici cause: magari la strategia Alitalia era corretta ma forze contrapposte dei diversi azionisti e fornitori, non comunicazione di un obiettivo aziendale, dipendenti non coinvolti ed allineati, execution scarsa ne hanno determinato il suo fallimento.

Il raggiungimento di un obiettivo richiede la definizione di una strategia efficace e una sua implementazione  altrettanto efficace. Si può avere la strategia migliore ma, se non si implementa in modo corretto, i risultati non arrivano o sono scarsi. Allo stesso modo una scarsa strategia, pur se implementata in modo corretto, darà risultati modesti.

Nel caso di Alitalia, senza un piano condiviso da tutti gli stakeholder su cosa essere e diventare, la compagnia aerea non spiccherà mai davvero il volo.

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